• Da sapere per iniziare

    Introduzione

    Tullio Buti da due mesi ha preso in affitto una stanza presso la signora Nini e sua figlia Clotildina, una zitella ormai anziana. Buti è un signore scontroso e solitario e in casa non si vede mai, con dispiacere delle due donne, soprattutto di Clotildina, che vorrebbe attrarlo a sé. Buti ha un passato triste – suo padre era manesco e la madre era morta prematuramente – e un presente grigio e monotono: una vita da impiegato, con colleghi indifferenti, che non sanno se chiamarlo gufo o orso. Una sera, però…

  1. via Appia antica: importante e famosa via di Roma, costruita sull'antica strada romana.

  2. 'civiltà': attenzioni (l'autore riporta il termine preciso che la madre usa con la figlia).

  3. usargli: riservargli.

  4. Confabularono: parlarono di nascosto.

  5. globo smerigliato: paralume di vetro levigato e lavorato che protegge l'interno della lampada a petrolio.

  6. bujo: buio. Grafia non più usata della i intervocalica e semiconsonantica. (Vedi - più avanti - anche la parola 'cucchiaio'.)

  7. canapè: divanetto.

  8. invagati: che vagavano.

  9. inerte: senza muoversi.

  10. blando: tenue, debole.

  11. stenebrare: eliminare le tenebre, rischiarare.

  12. alcunché: qualcosa.

  13. serrò: chiuse (per la commozione).

  14. spirasse: si diffondesse; si sprigionasse.

  15. furtivamente: di nascosto.

  16. donde: da cui; da dove.

  17. desco: tavolo intorno a cui la famiglia si riunisce per mangiare.

  18. ministrarli: servir loro la cena.

  19. argomentare: capire.

  20. affatto: del tutto.

  21. s'inalbasse: si illuminasse.

  22. mendico: mendicante; chi chiede l'elemosina per vivere.

  23. tetraggine attonita: grigiore che rende storditi.

  24. blando: tenue; debole.

  25. profferto: offerto.

  26. sossopra: sottosopra; confusa e turbata.

  27. ansante: ansimante; pieno d'angoscia.

  28. appresso: seguente.

  29. da presso: da vicino.

  30. discernersi: distinguersi.

  31. di furto: di nascosto (quasi come un ladro).

  32. sovvennero: accorsero.

  33. pigione: affitto.

Luigi Pirandello
Il lume dell'altra casa

Quella domenica, [il Buti] stanco della lunga passeggiata per la via Appia antica, insolitamente aveva deciso di rincasare. Era ancora presto per la cena. Avrebbe aspettato nella cameretta che il giorno finisse di morire e si facesse l’ora. Per le Nini, madre e figlia, fu una gratissima sorpresa. Clotildina, dalla contentezza, batté anche le mani. Quale delle tante cure e attenzioni studiate e preparate, quale delle tante finezze e «civiltà» particolari, usargli prima? Confabularono mamma e figliuola: a un tratto Clotildina pestò un piede, si batté la fronte. Oh Dio, il lume, intanto! Prima di tutto bisognava recargli un lume, quello buono, messo apposta da parte, di porcellana coi papaveri dipinti e il globo smerigliato. Lo accese e andò a picchiare discretamente all’uscio dell’inquilino. Tremava tanto, per l’emozione, che il globo, oscillando, batteva contro il tubo, che rischiava d’affumicarsi. Permesso? Il lume. No, grazie, rispose il Buti, di là. Sto per uscire. La zitellona fece una smorfietta, con gli occhi bassi, come se l’inquilino potesse vederla, e insistette: Sa, ce l’ho qua. Per non farla stare al bujo. Ma il Buti ripeté, duro: Grazie, no. S’era seduto sul piccolo canapè dietro al tavolino, e sbarrava gli occhi invagati nell’ombra che a mano a mano s’addensava nella cameretta, mentre ai vetri smoriva tristissimo l’ultimo barlume del crepuscolo. Quanto tempo stette così, inerte, con gli occhi sbarrati, senza pensare, senza avvertire le tenebre che già lo avevano avvolto? Tutt’a un tratto, vide. Stupito, volse gli occhi intorno. Sì. La cameretta s’era schiarata all’improvviso, d’un blando lume discreto, come per un soffio misterioso. Che era? Com’era avvenuto? Ah, ecco. Il lume dell’altra casa. Un lume or ora acceso nella casa dirimpetto: l’alito d’una vita estranea, ch’entrava a stenebrare il bujo, il vuoto, il deserto della sua esistenza. Rimase un pezzo a mirare quel chiarore come alcunché di prodigioso. E un’intensa angoscia gli serrò la gola nel notare con quale soave carezza si posava sul suo letto, su la parete, e qua su le sue mani pallide, abbandonate sul tavolino. Gli sorse in quell’angoscia il ricordo della sua infanzia oppressa, di sua madre. E gli parve come se la luce di un’alba lontana spirasse nella notte del suo spirito. Si alzò, andò alla finestra e, furtivamente, dietro ai vetri, guardò là, nella casa dirimpetto, a quella finestra donde gli veniva il lume. Vide una famigliuola raccolta intorno al desco: tre bambini, il padre già seduti, la mamma ancora in piedi, che stava a ministrarli, cercando com’egli poteva argomentare dalle mosse di frenar l’impazienza dei due maggiori che brandivano il cucchiajo e si dimenavano su la seggiola. L’ultimo stirava il collo, rigirava la testina bionda: evidentemente, gli avevano legato troppo stretto al collo il tovagliolo; ma se la mammina si fosse affrettata a dargli la minestra, non avrebbe più sentito il fastidio di quella legatura troppo stretta. Ecco, ecco, infatti: ih, con quale voracità s’affrettava a ingollare! tutto il cucchiajo si ficcava in bocca. E il babbo, tra il fumo che vaporava dal suo piatto, rideva. Ora si sedeva anche la mammina, lì, proprio dirimpetto. Tullio Buti fece per ritrarsi, istintivamente, nel vedere che ella, sedendo, aveva alzato gli occhi verso la finestra; ma pensò che, essendo al bujo, non poteva esser veduto, e rimase ad assistere alla cena di quella famigliuola, dimenticandosi affatto della sua. Da quel giorno in poi, tutte le sere, uscendo dall’ufficio, invece d’avviarsi per le sue solite passeggiate solitarie, prese la via di casa; aspettò ogni sera che il bujo della sua cameretta s’inalbasse soavemente del lume dell’altra casa, e stette lì, dietro ai vetri, come un mendico, ad assaporare con infinita angoscia quell’intimità dolce e cara, quel conforto familiare, di cui gli altri godevano, di cui anch’egli, bambino, in qualche rara sera di calma aveva goduto, quando la mamma… la mamma sua… come quella… E piangeva. Sì. Questo prodigio operò il lume dell’altra casa. La tetraggine attonita, in cui lo spirito di lui era rimasto per tanti anni sospeso, si sciolse a quel blando chiarore. Non pensò, intanto, Tullio Buti, a tutte le strane supposizioni che quel suo starsene al bujo doveva far nascere nella padrona di casa e nella figliuola. Due altre volte Clotildina gli aveva profferto il lume, invano. Avesse almeno acceso la candela! Ma no, neppure. Che si sentisse male? Aveva osato domandarglielo Clotildina con tenera voce, dall’uscio, la seconda volta ch’era accorsa col lume. Egli le aveva risposto: No; sto bene così. Alla fine… ma sì, santo Dio, scusabilissima! aveva spiato dal buco della serratura, Clotildina e, con maraviglia, veduto anche lei nella cameretta dell’inquilino il chiarore diffuso dal lume dell’altra casa: della casa dei Masci appunto, e veduto lui, lui ritto dietro ai vetri della finestra, intento a guardare lì, nella casa dei Masci. Clotildina era corsa, tutta sossopra, ad annunziare alla mamma la grande scoperta: Innamorato di Margherita! di Margherita Masci! Innamorato! Qualche sera dopo, Tullio Buti, mentre se ne stava a guardare, vide con sorpresa in quella stanza dirimpetto, ove la famigliuola al solito ma senza il babbo, quella sera se ne stava a cenare, vide entrare la signora Nini sua padrona di casa, e la figliuola, accolte come amiche di antica data. A un certo punto, Tullio Buti si ritrasse d’un balzo dalla finestra, turbato, ansante. La mammina e i tre piccini avevano alzato gli occhi verso la sua finestra. Senza dubbio, quelle due si erano messe a parlare di lui. E ora? Ora tutto forse era finito! La sera appresso, quella mammina, o il marito, sapendo che nella cameretta di contro c’era lui così misteriosamente al bujo, avrebbero accostato gli scuri; e così d’ora in poi non gli sarebbe venuto più quel lume di cui viveva, quel lume ch’era il suo godimento innocente e il suo unico conforto. Ma non fu così. Quella sera stessa, allorché il lume di fu spento, ed egli, piombato nella tenebra, dopo avere atteso ancora un poco che la famigliuola fosse andata a letto, si recò ad aprire cautamente la vetrata della finestra per rinnovare l’aria, vide anche aperta la finestra di là; vide poco dopo (e ne ebbe nel bujo un tremore di sgomento) vide affacciarsi a quella finestra la donna, forse incuriosita di quanto avevano detto di lui le Nini, mamma e figliuola. Quei due fabbricati altissimi, che aprivano l’uno contro l’altro così da presso gli occhi delle loro finestre, non lasciavano vedere né, in alto, la striscia chiara di cielo, né, in basso, la striscia nera di terra, chiusa all’imboccatura da un cancello; non lasciavano mai penetrare un raggio di sole, un raggio di luna. Ella, dunque, là, non poteva essersi affacciata che per lui, e certo perché s’era accorta che egli s’era affacciato a quella sua finestra spenta. Nel bujo, potevano discernersi appena. Ma egli da un pezzo la sapeva bella; ne conosceva già tutte le grazie delle mosse, i guizzi degli occhi neri, i sorrisi delle labbra rosse. Più che altro, però, quella prima volta, per la sorpresa che lo sconvolgeva tutto e gli toglieva il respiro di un fremito d’inquietudine quasi insostenibile, provò pena; dovette fare uno sforzo violento su se stesso per non ritirarsi! per aspettare che si ritirasse lei per la prima. Quel sogno di pace, d’amore, d’intimità dolce e cara, di cui aveva immaginato dovesse godere quella famigliuola: di cui per riflesso aveva goduto anche lui; crollava, se quella donna, di furto, al bujo, veniva alla finestra per un estraneo. Questo estraneo, sì, era lui. Eppure, prima di ritirarsi, prima di richiudere la vetrata ella gli bisbigliò: Buona sera! Che avevano fantasticato di lui le due donne che lo ospitavano, da suscitare e accendere così la curiosità di quella donna? Che strana, potente attrazione aveva operato su lei il mistero di quella sua vita chiusa, se fin dalla prima volta, lasciando di i suoi piccini, era venuta a lui, quasi a tenergli un po’di compagnia? L’uno di faccia all’altra, benché avessero entrambi schivato di guardarsi e avessero quasi finto davanti a se stessi d’essere alla finestra senza alcuna intenzione, tutti e due ne era certo avevano vibrato dello stesso tremito d’ignota attesa, sgomenti del fascino che così da vicino li avvolgeva nel bujo. Quando, a sera tarda, egli richiuse la finestra, ebbe la certezza che la sera dopo ella, spento il lume, si sarebbe riaffacciata per lui. E così fu. D’allora in poi Tullio Buti non attese più nella sua cameretta il lume dell’altra casa; attese con impazienza, invece, che quel lume fosse spento. La passione d’amore, non mai provata, divampò vorace, tremenda nel cuore di quell’uomo per tanti anni fuori della vita, e investì, schiantò, travolse come in un turbine quella donna. Lo stesso giorno che il Buti sloggiò dalla cameretta delle Nini, scoppiò come una bomba la notizia che la signora del terzo piano della casa accanto, la signora Masci, aveva abbandonato il marito e i tre figliuoli. Rimase vuota la cameretta, che aveva ospitato per circa quattro mesi il Buti; rimase spenta per parecchie settimane la stanza dirimpetto, ove la famigliuola soleva ogni sera raccogliersi a cena. Poi il lume fu riacceso su quel triste desco, attorno al quale un padre istupidito dalla sciagura mirò i visi sbigottiti di tre bimbi che non osavano volgere gli occhi all’uscio, donde la mamma soleva entrare ogni sera con la zuppiera fumante. Quel lume riacceso sul triste desco tornò allora a rischiarare, ma spettrale, la cameretta di contro, vuota. Se ne sovvennero, dopo alcuni mesi dalla loro crudele follia, Tullio Buti e l’amante? Una sera le Nini, spaventate, si videro comparir dinanzi, stravolto e convulso, il loro strano inquilino. Che voleva? La cameretta, la cameretta, se era ancora sfitta! No, non per sé, non per starci! per venirci un’ora sola, un momento solo almeno, ogni sera, di nascosto! Ah, per pietà, per pietà di quella povera madre che voleva rivedere da lontano, senz’esser veduta, i suoi figliuoli! Avrebbero usato tutte le precauzioni; si sarebbero magari travestiti; avrebbero colto ogni sera il momento che nessuno fosse per le scale; egli avrebbe pagato il doppio, il triplo la pigione, per quel momento solo. No. Le Nini non vollero acconsentire. Solo, finché la cameretta restava sfitta, concessero che qualche rara volta… oh, ma per carità, a patto che nessuno li avesse scoperti! Qualche rara volta… La sera dopo, come due ladri, essi vennero. Entrarono quasi rantolanti nella cameretta al bujo, e attesero, attesero che s’inalbasse ancora del lume dell’altra casa. Di quel lume dovevano vivere ormai, così, da lontano. Eccolo! Ma Tullio Buti non poté in prima sostenerlo. Lei, invece, coi singhiozzi che le gorgogliavano in gola, lo bevve come un’assetata, si precipitò ai vetri della finestra, premendosi forte il fazzoletto su la bocca. I suoi piccini… i suoi piccini… i suoi piccini, là… eccoli… a tavola… Egli accorse a sorreggerla, e tutti e due rimasero lì, stretti, inchiodati, a spiare.

Luigi Pirandello,

Novelle per un anno, A. Mondadori, Milano, 1990

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