• Descrizione

    Il Discorso sul metodo (il cui titolo completo è Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze) è stato pubblicato nel 1637 come introduzione a tre trattati di argomento scientifico. In effetti, però, già dalla pubblicazione la parte principale dell'opera è proprio questa introduzione, tanto che Cartesio considera i tre trattati che l'accompagnano come un'esemplificazione dei risultati che si possono ottenere applicando questo metodo. Il Discorso diventerà presto un'opera a sé, anzi una delle principali di Cartesio, dato che presenta molti degli aspetti principali della sua filosofia, dai criteri della conoscenza alla dimostrazione dell'esistenza di Dio, dai princìpi della fisica alla spiegazione meccanicistica degli esseri viventi. Il brano che presentiamo contiene il passaggio fondamentale dal dubbio alla prima certezza, cogito ergo sum, alla individuazione dei criteri per definire la verità.

  1. Nella parte III, appena precedente, Cartesio aveva esposto la cosiddetta morale provvisoria: anche se possiamo mettere tutto in dubbio e vivere per qualche tempo senza certezze, non possiamo farlo in ambito pratico, perché dobbiamo comunque scegliere alcuni princìpi sui quali regolare il nostro comportamento.

Argomentazione
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Renato Cartesio
Cogito ergo sum

Non so se debbo intrattenermi su le prime meditazioni ch'io feci allora, poiché esse sono talmente metafisiche e così poco comuni che forse pochi le troveranno di loro gradimento; pure, son costretto a parlarne, affinché ognuno possa giudicare se sono abbastanza ben fondati i princìpi posti a base della mia filosofia. Dianzi ho spiegato la ragione per cui nei costumi è talvolta necessario adottare e seguire anche le opinioni più incerte come se fossero certissime: questo l'avevo notato da gran tempo. Ma, poiché io allora intendevo di dedicarmi soltanto alla ricerca della verità, ritenni necessario far tutto il contrario: rigettare, cioè, come interamente falso tutto ciò in cui potessi immaginare il menomo dubbio, per vedere se, così facendo, alla fine, restasse qualcosa, nella mia credenza, di assolutamente indubitabile. Intanto: poiché i nostri sensi talvolta ci ingannano, volli supporre non esserci nessuna cosa che fosse quale essi ce la fanno immaginare. E poiché ci sono uomini che cadono in abbagli e paralogismi ragionando anche intorno ai più semplici argomenti di geometria, pensai ch'io ero soggetto ad errare come ogni altro, e però respinsi come falsi tutti i ragionamenti che avevo preso sin allora per dimostrazioni. In fine, considerando che gli stessi pensieri, che noi abbiamo quando siam desti, possono tutti venirci anche quando dormiamo benché allora non ve ne sia alcuno vero, mi decisi a fingere che tutto quanto era entrato nel mio spirito sino a quel momento non fosse più vero delle illusioni dei miei sogni. Ma, subito dopo, m'accorsi che, mentre volevo in tal modo pensare falsa ogni cosa, bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa. Per cui, dato che questa verità: Io penso, dunque sono, è così ferma e certa che non avrebbero potuto scuoterla neanche le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accogliere senza esitazione come il principio primo della mia filosofia. Poi, esaminando con attenzione ciò che ero, e vedendo che potevo fingere, sì, di non avere nessun corpo, e che non esistesse il mondo o altro luogo dove io fossi, ma non perciò potevo fingere di non esserci io, perché, anzi, dal fatto stesso di dubitare delle altre cose seguiva nel modo più evidente e certo che io esistevo; laddove, se io avessi solamente cessato di pensare, ancorché tutto il resto di quel che avevo immaginato fosse stato veramente, non avrei avuto ragione alcuna per credere di esser mai esistito: ne conclusi esser io una sostanza, di cui tutta l'essenza o natura consiste solo nel pensare, e che per esistere non ha bisogno di luogo alcuno, dipende da cosa alcuna materiale. Questo che dico «io», dunque, cioè, l'anima, per cui sono quel che sono, è qualcosa d'interamente distinto dal corpo, ed è anzi tanto più facilmente conosciuto, che, anche se il corpo non esistesse, non perciò cesserebbe di esser tutto ciò che è. Dopo di ciò considerai quel che si richiede in generale perché una proposizione sia vera e certa: io ne avevo trovata una, proprio in quel momento, che sapevo esser tale, e però pensai di dover anche sapere in che consiste tale certezza. Notai, allora, che in questa affermazione: io penso, dunque sono, non c'è nulla che me ne assicuri la verità eccetto il vedere chiaramente che per pensare bisogna essere: giudicai, quindi, di poter prendere per regola generale che le cose, le quali noi concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto, sono tutte vere; e che, se c'è qualche difficoltà, è solo nel ben determinare quali sono quelle che noi concepiamo distintamente.

Renato Cartesio,

Discorso sul metodo, IV, in Opere, tr. di A. Carlini, Laterza, Bari, 1967, vol. I, pp. 150-2.

Editore

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